Dal 26 giugno 2021 è applicabile il nuovo regime prudenziale per le per le imprese di investimento nell’UE, costituito dal Regolamento (UE) 2019/2033 relativo ai requisiti prudenziali delle imprese di investimento, cd. IFR (documento integrale), e dalla Direttiva (UE) 2019/2034 relativa alla vigilanza prudenziale sulle imprese di investimento, cd. IFD (documento integrale), che facendo soprattutto riferimento al principio di proporzionalità vuole riflettere al meglio la natura, la dimensione e la complessità delle attività delle imprese di investimento rispetto al quadro CRR/CRD.

Si ricorda che, stante i perduranti ritardi nell’emanazione degli standard tecnici dell’EBA, lo scorso 30 luglio Banca d’Italia ha precisato con una comunicazione le attività da intraprendere per conformarsi e applicare le nuove disposizioni.

Le imprese di investimento sono classificate in tre classi che applicano regole prudenziali differenziate in ragione della loro diversa rilevanza sistemica. In particolare, il regime IFR/IFD  è applicabile alle imprese di investimento di Classe 2, ossia quelle che svolgono una o più delle attività previste all’allegato I, Sez. A, MiFID II, autorizzate alla detenzione del denaro e degli strumenti finanziari della clientela e che superino almeno una delle seguenti soglie indicate, e di Classe 3, ossia le imprese considerate piccole e non interconnesse di cui all’art. 12, IFR, secondo le condizioni ivi indicate. Diversamente, le imprese di Classe 1, ossia di “importanza statistica o altamente interconnesse”, rimangono soggette al regime CRR/CRD.

I parametri di riferimento ai fini della classificazione delle imprese nella Classe 2 o 3 sono indicati dallo stesso IFR: AUM (assets under management), COH (client orders handled), ASA (assets safeguarded and administered), CMH (client money held), DTF (daily trading flow), NPR (net position risk) or CMG (clearing margin given), TCD (trading counterparty default), Attività di stato patrimoniale e fuori bilancio e Ricavi annuali per servizi di investimento.

Per quanto riguarda l’ammontare dei fondi propri e dei requisiti patrimoniali, si ricorda che, in mancanza di un atto legislativo nazionale di recepimento, i livelli di capitale minimo continuano ad essere quelli previsti dal Regolamento della Banca d’Italia del 29 ottobre 2007 e non quella dell’art. 9, IFR. Si evidenzia però che la definizione e la composizione dei fondi propri, di cui a quest’ultimo articolo, salvo aspetti marginali, è allineata al CRR.

Sempre in tema di fondi propri le imprese, ai sensi dell’art 11 IFR, in funzione della classe di appartenenza, devono rispettare determinati parametri composti da tre elementi principali: i) spese generali fisse (fixed overheads requirement – FOR); ii) requisito patrimoniale minimo permanente (permanent minimum capital requirement – PMR) che varia a seconda delle attività dell’impresa di investimento; iii) un requisito patrimoniale complessivo “K-factor”, che è la somma dei requisiti del fattore K raggruppati in tre categorie: Risk-to-Client (RtC), Risk-to-Market (RtM), Risk-to-Firm (RtF). Le modalità di calcolo dei diversi fattori K sono individuate agli artt. 17, 18, 19 , 20, 22, 23, 26, 33 IFR e i coefficienti applicabili all’art. 15 IFR.

Si segnala, infine, che le imprese di Classe 3 sono soggette a requisiti meno stringenti rispetto a quelle di Classe 2: in particolare, il requisito patrimoniale per un’impresa di classe 3 è pari al maggiore tra il suo FOR e il PMR, mentre quello di un’impresa di classe 2 è uguale al più alto tra il suo FOR, PMR e il requisito patrimoniale complessivo del fattore K.