I reati tributari tornano a far parlare di sé nell’ambito della responsabilità amministrativa da reato degli enti ex D. Lgs. n. 231/2001, ma questa volta si tratta di vere e proprie riforme.

Nella Gazzetta Ufficiale n. 245 del 18 ottobre 2019 è stata infatti pubblicata la Legge 4 ottobre 2019, n. 117 di “Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea—Legge di delegazione europea 2018” (documento integrale), in vigore dal 2 novembre 2019, la quale, tra le altre cose, dispone il recepimento della direttiva (UE) 2017/1371 (documento integrale) relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale (c.d. Direttiva PIF), con particolare riferimento ai casi di reati gravi contro il sistema comune dell’IVA. In tema di responsabilità delle persone giuridiche, l’art. 6 della Direttiva PIF stabilisce l’adozione di “misure necessarie affinché le persone giuridiche possano essere ritenute responsabili di uno dei reati di cui agli articoli 3, 4 e 5 commessi a loro vantaggio da qualsiasi soggetto, a titolo individuale o in quanto membro di un organo della persona giuridica, e che detenga una posizione preminente in seno alla persona giuridica”.

A tale scopo, quindi, l’art. 3, co. 1, lett. e), della legge di delegazione prevede espressamente l’ampliamento del catalogo dei reati presupposto 231 ai reati di frode IVA, come individuati in conformità della Direttiva PIF.

Inoltre, nella Gazzetta Ufficiale n. 252 del 26 ottobre 2019 è stato pubblicato il Decreto Legge 26 ottobre 2019, n. 124, recante “Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili”, ossia il decreto fiscale collegato alla manovra 2020, il quale introduce il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti tra le ipotesi di responsabilità amministrativa da reato degli enti ex D. Lgs. n. 231/2001 (documento integrale).

In particolare, l’art. 39, co. 2, del D.L. prevede l’introduzione dell’art. 25-quinquiesdecies nel catalogo dei reati del delitto di cui all’art. 2 del D. Lgs. n. 74/2000, il quale punisce “con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi passivi fittizi” e considera commesso il fatto qualora “tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria”. Si ricorda però che, ai sensi dell’art. 5, D. Lgs. n. 231/2001, la responsabilità dell’ente è comunque subordinata al fatto che il reato risulti commesso nell’interesse o a vantaggio dello stesso.

Per quanto riguarda la sanzione amministrativa pecuniaria, in relazione alla commissione del delitto di dichiarazione fraudolenta, il Decreto 231 applica all’ente la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote. In particolare, ai sensi dell’art. 10, comma 3 del medesimo decreto, l’importo di una quota va da un minimo di euro 258 ad un massimo di euro 1549, da fissarsi sulla base delle condizioni economiche e patrimoniali dell’ente allo scopo di assicurare l’efficacia della sanzione, pertanto, la sanzione pecuniaria per le imprese che traggono vantaggio da tale reato di frode fiscale potrà arrivare fino 774.500 euro.

Tale disposizione ha efficacia dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della legge di conversione del decreto legge.